Si ritiene che in Italia non si faccia ricerca.
Non è vero.
L’Italia non è solo una nazione di santi, poeti e
navigatori.
E’ anche un popolo di musicisti e di curiosi.
E il curioso, nella definizione più encomiabile, è uno che
non si ferma alla superficie delle cose, si guarda intorno, vuole di capire, cioè cerca.
Si ritiene che l’Italia finanzi poco la ricerca.
Non è vero.
Non la finanzia per niente.
Quando si riporta il risultato di una ricerca, nella
maggioranza di casi si fa riferimento a prestigiosi istituti universitari o
statunitensi o inglesi, a volte tedeschi, più raramente scandinavi, ogni tanto
sbuca un sudafricano, ma all’Italia non si fa riferimento.
Ad essere precisi si fa spesso riferimento a ricercatori
italiani che effettuano le loro ricerche in ambiti stranieri.
Cosa che comunque
ci dovrebbe gratificare, anche perché ci vuole molto più impegno, cultura,
sacrificio e carattere per costruire un buon cervello che un buon impianto.
E i nostri cervelli sono ambìti ovunque, tranne che in
Italia.
Vale anche il contrario, cioè che i cervelli nostrani non
ambiscono a lavorare nelle strutture di ricerca italiane, vuoi per
l’arretratezza, con le debite eccezioni di eccellenze che ci sono anche da noi,
vuoi per la politica che in tutto si insinua e tutto avvelena (nomine,
cattedre, fondi), vuoi per la miseria con cui sono pagati ragazzi con anni di
sacrifici e studi alle spalle, il cui reddito non si distingue da quello di un
accattone.
In Italia, chi fa ricerca, è considerato o un matto o un
visionario.
Intanto, se un italiano scopre qualcosa di interessante,
viene tacciato di essere un ballista.
Per il semplice luogo comune che in Italia sia impossibile
fare ricerca.
Non è vero.
E’ possibile ma a prezzo carissimo, sia in termini di
visibilità sia in termini economici.
Per cui qualunque ricerca fatta in Italia è destinata ad
essere demolita dagli stessi italiani.
Il cerusico faceva salassi e intanto la gente moriva.
Salassata.
Mica l’ha inventato Monti, il salasso,eh.
E quando qualcuno diceva “mah, io ho notato che, se
beve, il malato sta meglio”, il cerusico sosteneva che si faceva così da
migliaia di anni e che il malato stava meglio se lo si salassava, e che colui
che aveva asserito l’importanza dell’idratazione non sapeva niente.
Perché si è sempre fatto così.
Fino alle flebo, che hanno letteralmente mandato a Siviglia
tutte le convenzioni precedenti, figari compresi.
Galileo fu scomunicato e condannato dall’Inquisizione perché
aveva detto che il Sole era al centro e i pianeti gli ruotavano intorno.
Orrore, mettere in discussione i dettami della Chiesa
sovvertendo opinioni ritenute dogmaticamente valide per mille e seicento anni.
Al rogo, al rogo!!
Poi ha chiesto scusa, ha rimesso il Sole al suo posto e
tutto si è risolto.
Ora noi scuotiamo la testa increduli davanti a queste cose,
compatiamo il cerusico (di qualità) e il monsignore, perché sappiamo come
stanno le cose, ci riteniamo aperti, comprensivi, tolleranti, curiosi, pronti
ad innovazioni e nuove scoperte, noi crediamo di stay hungry, stay foolish.
Balle.
Non è affatto vero. Noi crediamo di essere aperti
alle innovazioni ma non siamo mai stati ieratici, sospettosi, increduli,
malfidenti e tradizionalisti ed esterofili come adesso.
La scienza continua a fare ricerche, giunge a risultati
impensabili fino a pochi decenni fa, e noi cosa facciamo? Noi dubitiamo, ci
ergiamo a Torquemada, condanniamo le novità senza riserve solo perché non le
conosciamo.
Ovvio che non le conosciamo, e per due semplici motivi: non
siamo noi coloro che le hanno scoperte e se è una novità, prima non c’era.
Questo è l’ambiente in cui i ricercatori italiani vivono.
Non stiamo parlando dei ricercatori universitari americani,
tedeschi, scandinavi con fondi senza fine, accesso facile alle pubblicazioni (a
proprio nome! Non del padrino – barone che ci mette la firma mentre il lavoro
lo hanno fatto dei poveri cristi a 600 euro al mese).
Stiamo parlando dei piccoli ricercatori nelle piccole
aziende italiane (che sono la vera spina dorsale dell’Italia che lavora, che
innova e che non chiede niente a nessuno), che non vedono un centesimo di
finanziamenti, che fanno tutto da soli, sorretti dalla fiducia
dell’imprenditore magari un po’ illuso o più verosimilmente lungimirante, che
apre il suo portafoglio e compra anche le provette, sostenuto dal capo ricerca,
altrettanto affamato di novità e che ci crede.
E questi solitari ricercatori, con anni di esperienza, di
studi, dopo tentativi, di prove e riprove, spesso giungono veramente a qualcosa
di innovativo.
Ma quando vengono resi pubblici i loro risultati (raramente,
mancando i dané), dai Paesi esteri arrivano richieste di informazioni, si viene
invitati al confronto, all’approfondimento, si viene rispettati in quanto
ingegni e ingegnosi.
In Italia no: c’è sempre qualcuno che prende il loro studio,
lo seziona secondo parametri scientifici vecchi di decenni, gli contrappone
ricerche già dimostratamene fasulle, il trombone centenario, seduto sullo
scranno di professore emerito di calligrafia che si oppone al rinnovamento, c’è
chi tira le rape in un blog intitolato biutistellina95 o in un youtube con
sotto la musica di “macchécceffrega macchéccemporta”, gli dedica un post
intitolato “ma guarda questi qui” sul forum delle ricette di nonna Papera, e
tutti a gridare al rogo al rogo, non puoi dire che il Sole è la centro e i
pianeti gli girano intorno.
Forse è solo invidia di non essere stati capaci di fare
altrettanto.
O forse è la paura del nuovo, il timore di doversi mettere
in discussione, di farsi domande, di imparare qualcosa di nuovo, di vedere
alcune certezze crollare, di dubitare, di pensare.
O più semplicemente la scienza studia e il volgo ripudia.
Del resto, come diceva Mark Twain: Un uomo che ha un’idea nuova è uno svitato finché quell’idea non ha successo.
Allora l’imprenditore che ha finanziato la ricerca, chiede
scusa, rimette il Sole al suo posto, però poi chiude il portafoglio, chiude la
fabbrichetta e delocalizza.
In Boemia.
P.S. In Italia i fondi per la ricerca sono tanti, sulla
carta e sulla lingua dei nostri politicanti.
Peccato che vadano sempre agli stessi due o tre gruppi
industriali enormi.
Ai piccoli non arriva mai nulla perché le procedure sono
fatte in modo che un piccolo abbia solo due possibilità: o assume una persona
che di mestiere fa solo il compilatore di moduli per quel finanziamento (solo
per quel finanziamento, per quell’altro no, ce ne vogliono altri) oppure tira
giù quattro moccoli (con tutto il rispetto), si rimbocca le maniche e ci mette
del suo.
Poi sentiamo il governatore (ex) della Lombardia che dice
che gli stanziamenti ci sono, ma che sono le imprese che non li chiedono.
Certo, se uno dei documenti da presentare è la foto della
nonna con tre moschettieri, è un po’ dura. E poi ti rispondono che la
documentazione è incompleta: la foto non c’è, non hai i requisiti.
Tu. Non hai i requisiti.
E l’imprenditore parte per la Boemia, dove al massimo
possono chiedergli di fischiettare una rapsodia.
E i soldi glieli danno anche se stecca.
Poi ci sono le PiccoleChimiche, che si dissanguano e non
dormono di notte, ma quando entrano in laboratorio guardano negli occhi i loro
collaboratori, e restano in Italia. E che con grande soddisfazione ogni mattina
aprono una mail dove dall’estero qualcuno si interessa ai loro studi.
Le PiccoleChimiche vanno in visibilio quando hanno per le mani una ricerca firmata da uno stuolo di nomi di tutte le nazionalità, in mezzo ai quali spicca un bell'italico nome.
Sì, le PiccoleChimiche lo hanno capito da sole: sono
stupide, ma vogliono sperare ancora, in questo maledetto Paese.
Rivolgiti sempre agli dèi altrui. Ti ascolteranno senza farti fare la fila. Stanislaw Jerzy Lec.
RispondiEliminaLec però era polacco, non boemo...
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