Una volta si mettevano ingegno e perizia per fare il proprio
lavoro.
Un falegname sceglieva il legno più adatto, immaginava e
disegnava le forme, poi con il sapiente uso dei suoi strumenti e delle sue
abilità faceva una sedia bellissima, unica, eterna, da tramandare in famiglia
come un cimelio. Il falegname era orgoglioso della sua opera, sapeva di aver
scelto il meglio, dal fornitore di fiducia, del cui materiale si fidava, il
cliente era soddisfatto, “sentiva” che in quella sedia c’era anche un po’ della
persona che l’aveva costruita.
Adesso il disegno deve essere firmato da un iscritto
all’albo dei sediaioli, la forma approvata dall’ortopedico della ASL, il legno
di provenienza certificata, esente da sostanza X e Y, gli strumenti con la
marcatura CE, il tavolo di lavoro con uno spessore di 4 centimetri, se è di 3 centimetri c’è la sanzione. Il cliente chiede la garanzia, già partendo dal presupposto di
comprare un bidone.
Tutto deve essere valutato da altri, accompagnato da una
montagna di carta, di bolli, di timbri, di dichiarazione dell’Autorità
competente (sarcasmo per la definizione servito su un vassoio d’argento),
dall’Ente preposto, dall’esperto abilitato da un altro ente o autorità, e sul
tuo prodotto finalmente metti il famigerato bollino, sigla, simbolo o quello
che è.
Un bollino che non dice assolutamente niente di te, della
tua passione, della tua esperienza, della tua genialità, tranne il fatto che
per ottenerlo hai presentato la foresta amazzonica in formato A4, hai fatto un
prodotto in cui il tuo ingegno conta meno di zero, ma contano solo i protocolli
e le linee guida, che se sei un estroso e sbandi in curva con un guizzo
d’inventiva, ti riportano sulla retta (?) via.
Michelangelo che deve colorare le figurine rimanendo dentro
i margini del disegno.
Le certificazioni sono una pratica costosa, per ottenere le
quali si butta via un mare di tempo, di energie e di soldi, in cui paghi uno
che ti insegna a fare il tuo mestiere, (ma che insegna lo stesso anche a
un’azienda meccanica, a una di scarpe, a una di fornelli) che sai già fare, ma
non vale, non hai un certificato che lo attesti e allora è come se fossi un
emerito incapace.
Ti dicono come vanno protocollati gli ordini, come devono
essere archiviate le pratiche, come comunicare con il vicino di scrivania, come
valutare la qualità del tuo prodotto e dei materiali impiegati per farlo, tutto
scritto su carta intestata con data, ora, firma, timbro, bollo, sigillo reale,
coccarda e pernacchia.
Ma una volta che hai avuto il certificato, non è finita.
No, il certificatore torna dopo un anno e controlla che tu
stia proseguendo secondo le direttive, (hai studiato le tabelline?), e ti
rinnova il certificato.
E poi ogni anno, e poi quello dopo e ancora e ancora.
Finchè non ti compare davanti un altro certificatore che ti
dice noooooooo, prima va messa la data, poi la firma, tutto da rifare, chi è il
cretino che le ha detto che va prima la firma e poi la data? .
Sembra quasi che fino all’avvento di questi certificatori
(la cui tortura maggiore deve essere trovare un post-it della moglie sul
frigorifero "torno tardi, la cena è in forno" scribacchiato senza data e firma) non esistessero efficienza e qualità.
Il che non è affatto vero, anzi, quando adesso si ha a che
fare con aziende certificate, il tempo e la carta per tutto si è decuplicato,
spesso a scapito della vera essenza del mestiere.
Siate sinceri: quante volte avete pensato che vent’anni fa
c’erano cose (prodotti, servizi) migliori rispetto ad adesso che la qualità è
certificata. Un po’ come la privacy: mai la nostra privacy è stata violata come
da quando c’è la legge che dovrebbe proteggerla.
Capita a volte di lamentarsi di un prodotto e aggiungere rammaricati "eppure è anche un'azienda certificata".
Forse erano più onesti gli artigiani, i commercianti e i
produttori di vent’anni fa, ma se uno diceva che aveva fatto una cosa in un
dato modo, si era sicuri che era vero.
Adesso no. Adesso non si crede più a niente (tranne che a
certe promesse di politici e alle bufale di internet) e la professionalità ,
per i più, non è più un valore, ma una mistificazione.
Allora si compra una patacca, ma ha il timbro.
Se poi il bollino è su una crema…
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